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Strategia

Influencer marketing: 6 miti da sfatare prima di costruire la tua strategia

Influencer marketing: come costruire la giusta strategia per il tuo brand? Prima di iniziare, ecco i miti da sfatare per non commettere errori.

Alexia Gattolin Giugno 30, 2016
influencer

Influencer marketing: nel panorama italiano, fino a qualche anno fa, accostare questi due termini rappresentava una scelta coraggiosa. Quasi azzardata. Molta diffidenza, forse qualche pregiudizio, di sicuro tanta confusione.

Gli influencer sono quelli che guadagnano facendosi i selfie con i prodotti, no?

No, chiaramente no. O almeno non solo. Per fortuna la percezione sull’argomento sta cambiando, e anche abbastanza rapidamente, nonostante ci sia ancora qualche resistenza ben radicata.

In modo volutamente provocatorio, un articolo di Domenico Nasi pubblicato su Il Fatto Quotidiano etichettava gli influencer come dei cialtroni di dimensioni cosmiche. Colpa, forse, di quei tanti ex “signori nessuno” che popolano con paroloni altisonanti e autocelebrativi non solo le proprie bio, ma anche gli eventi e i progetti una volta riservati a giornalisti e celebrity. Esibire le k dei profili social come biglietto da visita non sempre paga però, soprattutto quando i numeri sono ottenuti, magari, grazie anche all’aiuto dei bot o direttamente con lo shopping di like e follower.

Certo, è vero che i risultati vanno mostrati e non nascosti, ma prima ancora vanno dimostrati, contestualizzati e analizzati. Esibirli e ostentarli è poi una questione di semplice buon gusto e stile. E sicuramente sono tanti i casi in cui la realtà non corrisponde esattamente alla rappresentazione, contribuendo ad alimentare antipatie e disinformazione che screditano il reale valore dell’influencer marketing.

A tenere accesa la diatriba c’è anche il fattore emulazione. Viviamo nell’era dell’UGC, user-generated content, e grazie all’accessibilità e viralità dei social tutto sembra possibile per tutti. Di fatto lo è, ma a volte si perde il contatto con la realtà. Chiunque, potenzialmente, può diventare un influencer, ma non basta semplicemente mettersi in vetrina e avere un buon seguito.

La ricerca di visibilità e popolarità sul web sembra a volte una corsa all’oro, specie tra i giovanissimi: quasi una scorciatoia al “successo”, ipotizza Claudia Vago su CheFuturo!, fatta a suon di selfie e foto su Instagram con decine di prodotti e relativi brand rigorosamente taggati. Anche tutti insieme, competitor inclusi. Chiara Ferragni docet.

Ma non tutti sono Chiara Ferragni, e non tutti hanno capito quanto lavoro c’è dietro per costruire un progetto, un percorso di credibilità, ancor prima che di successo. Se da un lato, come afferma Riccardo Esposito, buona parte dell’opinione pubblica e dei non addetti ai lavori ancora stenta a riconoscere  un profilo istituzionale a queste figure, almeno i brand sembrano essere di tutt’altro avviso. L’audience degli influencer – quelli veri – anche. E questo è quello che conta.

Sulla scia dei numerosi casi di successo riportati all’estero, e soprattutto dei risultati che li accompagnano in termini di ROI, gli influencer sono diventati una risorsa imprescindibile anche nel panorama del digital marketing italiano. Per qualunque brand – piccolo o grande che sia, dalle startup alle compagnie più consolidate – costruire una strategia di influencer marketing rappresenta molto più di una semplice opzione.

// always think before jumping • #25karambola @alpitour_world

A photo posted by Antonio Ficai (@c4antonio) on

Google Trends ci mostra in modo ancora più evidente quanto interesse ci sia in Italia attorno all’argomento. E allora, visto che molto probabilmente stai pensando anche a tu di costruire un progetto di influencer marketing, o vuoi capire se ne vale davvero la pena, facciamo un po’ di chiarezza. Iniziamo a sfatare qualche mito, insomma, per evitare errori di valutazione che potrebbero rovinare la tua strategia o, peggio ancora, dissuaderti dall’intraprenderla.

#1. Sono un influencer. No, grazie

L’estate e’ iniziata e le pupette sentono la voglia irresistibile di viaggiare,svagarsi e vivere intense storie d’amore. Ognuna in fondo al cuore sogna di essere rapita da uno straniero fascinoso e in questo senso chi meglio di un principe arabo? questo look,molto indicato per i lettori del sud o comunque per quelli come me che hanno un pochino gli occhi neri ed il sapor mediorientale l’ho chiamato ‘il bello e possibile’ e fa davvero per voi. il processo di seduzione sfrutta tecniche raffinate che gli arabi hanno sviluppato nel corso dei secoli e le utilizzano ancora oggi per sedurre le turiste italiane sprovvedute che spesso ci cascano come boccalone (specie quelle di sinistra o quelle un po’ su d’eta). fingendosi un principe in vacanza (attenzione all’accento) si va da una pupetta li con un amico e gli si dice ‘se ti do trenta cammelli mi daresti tua moglie?’ loro rideranno e diranno che non e’ in vendita (se invece e’ davvero la moglie andate via scusandovi con molto tatto e tanta educazione) poi vi rivolgete a lei e le dite ‘hai mai fatto l’amore nel deserto?’ ‘io ti regalerei il diamante più bello del mondo ma non sarebbe nulla in confronto alla tua bellezza’ lei arrossira’ ridendo imbarazzata. a quel punto dovete far capire di avere i soldi che la donna e’ romantica ma mica scema e dite ‘sapete un posto dove vendono le ferrari?devo prenderne una e se mi dai il tuo facebook poi vi mandò la foto’ loro sorridendo ve lo daranno che tanto non hanno niente da perdere,missione compiuta avete il contatto! fatelo e fatemi sapere come va. outfit composto da camicia arabeggiante fantasia sul nilo,jeans deciso ma di gusto e sandalo vacanziero,orologio digitale di classe.sguardo fisso e sensuale. camicia acquistabile mi pare a gardaland (negozietto egizi ma non sono sicuro),jeans mercato di muggio’. dariofashionblogger #fashion #fashionblogger #egitto #arabo #medioriente #principe #princeofpersia #likeforlike #f4f #tag4like #moda #vogue

A photo posted by @dariofashionblogger on


Come abbiamo visto, non basta autoproclamarsi influencer per esserlo sul serio. Diffida di chi si presenta solo come tale, anche solo perché ha poca fantasia nel descrivere se stesso e nel trasmettere il proprio valore aggiunto, figuriamoci quello del tuo brand.

È un po’ come dire “Piacere, sono tizio e influenzo”. Ok, ma su cosa? E chi? Influenzi bene o influenzi male? Avere lo scettro del potere non basta, bisogna vedere come lo hai ottenuto, come lo usi e se sei in grado di mantenerlo nel tempo. È sempre il pubblico a decidere, e non solo in termini numerici. Il riscontro, la crescita di seguito e interazioni, il sentiment, l’empatia con chi ti segue: questo decide se sei un influencer oppure no. Tutto il resto sono chiacchiere.

#2. I numeri non sono tutto: scegli bene

Smoothies and flowers, favourite combo of mine. #posticiniamilano

A photo posted by Andrea Kate Ferrario (@andykate) on


Ok, hai individuato una lista di influencer. Hanno grandi numeri, hanno grande engagement, ma quale fa davvero al caso tuo? Se pensi che il criterio da utilizzare sia solamente la popolarità, stai già sbagliando. Quello di cui hai bisogno è un professionista che sia prima di tutto coerente con il brand o il prodotto/servizio che vuoi promuovere.

L’influencer influenza prima di tutto perché si è guadagnato una sua credibilità su determinati argomenti, o perché ha uno stile di comunicare tutto suo, che lo distingue, che lo rende speciale e riconoscibile per i suoi follower. Come un marchio di fabbrica. E questo significa che devi avere ben chiaro chi è il pubblico che vuoi influenzare, perché non è detto sia lo stesso pubblico dell’influencer che hai scelto.

Nicchia è la parola chiave. Non stupirti, altrimenti, se hai voluto a tutti i costi il più popolare e poi non hai ottenuto i risultati sperati.

#3. Solo una questione di selfie. Una volta, forse

She said: “You look like a princess, I love the colour of your skin, your hands, your eyes” • Mi ha detto che sembro una principessa, mentre stavo fissando il mare alla ricerca di risposte alle mie domande e lei stava tessendo braccialetti in corda colorata. Mi ha accarezzato le mani perché le piaceva lo smalto rosso, così le ho detto che, se voleva, potevo metterglielo ?? vi lascio immaginare la sua faccia di bambina felice. Non posso fare in modo che voi non abbiate paura di viaggiare, in un momento storico come quello che viviamo, ma voi lasciate che io sia felice. Ogni incontro lungo il cammino della vita è un insegnamento. Ed io un giorno vorrei insegnare ai miei figli ad essere cittadini del mondo, a porsi domande, a non avere catene né pregiudizi, a parlare inglese e spagnolo sin da piccolissimi perché questo gli permetterà di arrivare ovunque ma anche e soprattutto a parlare col cuore ❤️? #egypt #veraclasseegypt ph.@veraclasse @experienceegypt

A photo posted by Nunzia Cillo ?✍? (@nunziacillo) on

Non di soli selfie vive un influencer. La richiesta di progetti da parte dei brand è tanta, ma ancor di più è l’offerta. Riuscire a fare la differenza con tutta la competizione che c’è è sempre più difficile. Tranne che per i soliti noti, ovviamente. Ma diciamolo, i selfie con i prodotti in bella vista non bastano più. Possono essere utili ed efficaci per alcune campagne, come dimostra il caso dell’app italiana Friendz, ma non sono l’unico tipo di contenuto su cui puntare.

Quello che fa davvero la differenza è essere in grado di creare un progetto specifico, ben pianificato, che preveda un buon mix di (almeno) due elementi imprescindibili: storytelling e video.

Il miglior influencer è quello che sa raccontare una storia e far vivere un’esperienza. Come nella caption di Nunzia Cillo. L’obiettivo è sempre fare marketing, certo, ma l’autoreferenzialità e la comunicazione nuda e cruda sul prodotto non funzionano più. Che sia Instagram, Periscope, Snapchat, Facebook, Twitter, Youtube o altro: definite insieme la strategia in base agli obiettivi e fate storytelling.

#4. Solo grandi brand (e grandi budget) possono permettersi un influencer: errore

No, non è così. Ci sono vari gradi di influenza, e se non puoi permetterti un pezzo da novanta non devi sottovalutare il ruolo che possono avere advocate e ambassador.

I primi sono i tuoi sostenitori, quelli che credono nel prodotto o servizio e sono contenti di promuoverlo, semplicemente con il potere del word of mouth che sui social diventa ancora più virale. Gli ambassador sono invece clienti esperti che aderiscono in modo organizzato al programma Ambassador del brand, impegnandosi a creare buzz, creando post e contenuti o partecipando ad eventi, pur non essendo dipendenti dell’azienda.

Ricorda che i consumatori preferiscono affidarsi alle raccomandazioni di amici e parenti piuttosto che fidarsi della pubblicità tradizionale. E non dimenticare che anche il tuo stesso team può ricoprire un ruolo chiave nel veicolare le informazioni relative al brand o all’azienda. L’employee advocacy, il sostegno dei dipendenti, è una risorsa ancora troppo sottovalutata.

In Italia, una realtà emergente che cerca di unire domanda e offerta per le campagne di influencer e content marketing di ogni tipo (e prezzo) è sicuramente rappresentata da Buzzoole.

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Fonte: Buzzoole

#5. Ebbene sì, quella dell’ influencer è una professione

Come afferma un recente studio di GroupHigh, pubblicato anche su eMarketer, la figura dell’influencer è in continua evoluzione. Chi si è guadagnato nel tempo una sua audience ben profilata e riesce a garantire risultati reali, difficilmente accetterà ancora omaggi in cambio del proprio lavoro.

Perché sì, si tratta di lavoro: una buona strategia di influencer marketing necessita di tempo, studio, competenze, professionalità. Non ci si può improvvisare. Quindi, anche se molti influencer accettano ancora volentieri la visibilità come moneta di scambio (nel caso dei grandi brand, soprattutto), metti in conto che dovrai avere un budget seppur minimo da investire. O qualcosa di concreto da offrire, in ogni caso, per l’attività di promozione svolta.

Facci l’abitudine, perché sempre più spesso sarà così.

#6. Gli influencer non dicono mai di no: falso

Dunque, abbiamo scoperto che quello dell’influencer è (anche) un mestiere, non un semplice passatempo. Che sia a tempo pieno o un’attività parallela, poco cambia: per un’azione di marketing molti vengono pagati, e non stiamo parlando solo della Ferragni, della Biasi o della Ferraro.

Ma la gente si fida e si lascia influenzare ugualmente? Evidentemente sì, quasi come fossero amici, sostiene uno studio pubblicato da AdWeek. Il fatto di ricevere un compenso non incide poi molto sulla loro affidabilità, quando c’è trasparenza e soprattutto coerenza di immagine.

Lo conferma a chiare lettere anche Elena Braghieri sul suo blog: gli influencer dicono no se la collaborazione non rientra nelle loro corde. La credibilità è un bene troppo prezioso, il cardine di tutta la loro attività.

Lo dimostri quando non hai bisogno di taggare e citare ogni singolo angolo della tua foto, ma sono i tuoi follower a chiederti consigli e informazioni in più.

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A photo posted by ELENA BRAGHIERI (@elenabraghieri) on

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By Alexia Gattolin

Alexia è content writer & strategist. Si interessa di blog, travel, fotografia, sottoculture e sociologia dei consumi. E social media, ovviamente.

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