Questa storia potrebbe sembrare un aneddoto proveniente da terre lontane, ma è assolutamente vera. I protagonisti sono un’anguria, alcuni abitanti del luogo rimasti insoddisfatti e il testardo proprietario di un negozio di alimentari. L’intera vicenda, tuttavia, rivela alcune verità universali, troppo spesso ignorate, sul mondo dell’imprenditoria.
Anni fa, un amico di un’amica che viveva in Canada, nello Yukon, trascorse alcuni mesi in una piccola comunità a nord del Circolo Polare Artico, accessibile unicamente in aereo (tranne nei mesi invernali, in cui viene aperta una strada sul ghiaccio). Un giorno, nel negozio di alimentari locale fece la sua comparsa una leccornia inattesa: un’anguria.
Nello Yukon non crescono molte angurie. Per arrivare fin lì, in aereo, il cibo deve compiere un lungo viaggio. Di conseguenza, costa tutto moltissimo. Una dozzina di uova, in quel negozio di alimentari, costa 8$; le mele, circa 6$ al chilo. Le bibite sono un lusso. Ovviamente questa situazione non piace a nessuno, ma sono tutti abituati a questi prezzi.
Quella dell’anguria, però, fu una questione ben diversa. Quando arrivò sugli scaffali del negozio, venne messa in vendita a 85$. Ovviamente, si trattava di un prezzo proibitivo per la maggior parte dei residenti. I membri della comunità proposero quindi un patto ragionevole: chiesero al rivenditore di tagliare l’anguria a fette e di vendere le fette singolarmente. In questo modo, il negozio avrebbe comunque avuto lo stesso guadagno (se non di più) e tutti avrebbero potuto assaggiarne un pezzo.
Il negoziante però non accettò: non voleva dividere l’anguria a fette. La gente del posto provò a convincerlo, ma senza successo. E passò un giorno. Poi un altro…e un altro ancora. Nessuno voleva pagare per l’intera anguria e il negoziante non cedeva.
L’anguria rimase lì, giorno dopo giorno, nella sezione dei prodotti freschi. Nella terra del sole a mezzanotte era estate, il che significa 24 ore di luce solare. Le fette sarebbero andate subito a ruba, e invece quel frutto raro e prezioso restò lì a marcire sullo scaffale, senza che nessuno lo comprasse o lo mangiasse.
Cosa accomuna questa storia alla direzione di una tech company, o di una qualunque società in generale? In realtà, molto. L’ho sentita per la prima volta anni fa e da allora l’ho citata come avvertimento a chiunque si interessi di imprenditoria. Nella storia dell’anguria di Yukon convergono tre delle peggiori abitudini del mondo imprenditoriale: inerzia, ego, paura.
La letale spinta per inerzia
Non so esattamente perché il negoziante non abbia voluto tagliare l’anguria a fette, ma in parte dev’essere stato semplicemente a causa dell’inerzia: aveva sempre seguito un sistema e continuava a farlo, visto che, fino a quel momento, aveva sempre funzionato e non c’era quindi motivo di cambiarlo.
L’inerzia è formata in parti uguali da pigrizia e noncuranza e si tratta di un modo di distruggere a colpo sicuro la propria attività commerciale.
In definitiva, il passato non aiuta a prevedere il futuro. Le aziende di successo mettono costantemente in discussione i propri processi; chiedono sempre le opinioni dei clienti e cercano di trovare il modo di modificare l’offerta per soddisfare al meglio la domanda. Certo, questo modo di fare implica più lavoro e a volte significa trovarsi punto e a capo, ma è intrinseco alla natura di ogni attività in espansione.
Non è sempre facile però. Io stesso ho provato la forza dell’inerzia sulla mia pelle, qui a Hootsuite. Fin dall’inizio, abbiamo offerto una versione per aziende della nostra piattaforma per la gestione dei social media dedicata alle grandi aziende, a un prezzo corrispondente. Per le società più piccole offrivamo un piano Pro, con meno funzionalità e un prezzo di gran lunga inferiore. Molte aziende si trovavano però a metà fra le due tipologie appena descritte, per cui ricevevamo costantemente richieste per la creazione di offerte di livello medio, che si trovassero a metà strada fra i due piani esistenti.
Tuttavia le ignoravamo. Non volevamo dividere a fette la nostra anguria, per così dire, per soddisfare le esigenze dei clienti. Rimanevamo inchiodati alle nostre posizioni e, di conseguenza, stavamo perdendo una grande fetta del mercato. Fortunatamente non abbiamo lasciato marcire la nostra anguria. Di recente, infatti, abbiamo tagliato a fette il nostro prodotto e abbiamo introdotto un nuovo piano aziendale, che, per un prezzo più ridotto, include formazione sui social media, funzioni avanzate per i team di grandi dimensioni e altre caratteristiche richieste. In poco tempo, è diventato uno dei nostri prodotti più popolari.
L’influenza insidiosa dell’ego
Immagino che l’inerzia del negoziante dello Yukon fosse aggravata da un altro fattore: l’ego. Il negozio era fondamentalmente l’unico nel paese ormai da molto tempo. L’aver avuto il predominio così a lungo ha dato spazio a un certo grado di arroganza. Insomma, il negoziante non poteva certo preoccuparsi di star dietro alle richieste dei clienti! Gli abitanti del posto, volenti o nolenti, erano obbligati a fare lì i loro acquisti. E poi il negoziante sapeva benissimo come occuparsi del proprio mestiere: chi credevano di essere questi clienti molesti che si permettevano di dirgli come fare il proprio lavoro?
Un’arroganza di questo tipo ha segnato l’inizio e la fine di innumerevoli aziende promettenti. Per anni, i dirigenti di BlackBerry hanno insistito sul fatto di avere l’esclusiva sul mercato degli smartphone. Sono arrivati per primi, hanno avuto un immenso vantaggio su quella tecnologia e hanno stipulato contratti protetti con tutte le più grandi compagnie esistenti. A chi interessava quindi se alcuni utenti si lamentavano che i tasti fossero troppo piccoli o che il software fosse poco fluido? RIM aveva praticamente inventato lo smartphone moderno e poteva certo permettersi di ignorare qualche bastian contrario.
Ovviamente tutti sappiamo com’è finita questa storia. La verità è che il mondo degli affari è spietatamente darwiniano. Persino i clienti più affezionati hanno un limite di sopportazione: se esiste un’opzione migliore o più economica sul mercato, o se il prodotto è troppo complicato da utilizzare, abbandoneranno la nave. Nel caso del negozio di alimentari, l’anguria rappresentava il culmine di una lunga storia fatta di prezzi alti e percepiti come ingiusti: 85 dollari per un’anguria era decisamente troppo. A quanto mi è stato detto, gli abitanti del posto decisero quindi di mettersi d’accordo per boicottare l’anguria. Dopotutto avevano un’alternativa, ossia non comprare nulla.
Qui a Hootsuite abbiamo vissuto una storia simile, ma che per fortuna siamo stati in grado di risolvere in tempo. La nostra interfaccia utente (la “dashboard” che gli utenti visualizzano ogni volta che accedono online e controllano i loro social network) con il tempo era diventata totalmente obsoleta. Tuttavia ce la prendevamo comoda invece di aggiornarla, perché…ehm…perché pensavamo che in generale il prodotto fosse comunque piuttosto cool e avevamo altre priorità.
Quando però gli utenti hanno cominciato a mandarci tweet per dirci che la nostra interfaccia era “davvero pessima”, che aveva “bisogno di un look completamente rinnovato” e addirittura qualcosa di decisamente peggiore, allora abbiamo capito che dovevamo fare qualcosa. I nostri ingegneri e designer si sono messi al lavoro e hanno rinnovato completamente il look della dashboard, rendendo ancora migliore un prodotto già buono.
Paura: il nemico invisibile dell’imprenditoria
Forse sono stato troppo duro con il negoziante dello Yukon. Tolti l’inerzia e l’ego, infatti, il fatto che il negoziante si sia rifiutato di tagliare l’anguria a fette era probabilmente dovuto in gran parte alla paura di rischiare. Aveva investito molti soldi per fare arrivare quell’anguria fin lì in aereo e voleva essere sicuro di recuperarli. L’anguria intatta sarebbe infatti durata più a lungo sullo scaffale, rappresentando così la possibilità, più rassicurante, di un pagamento unico.
Questo tipo di paura ti si può tuttavia ritorcere contro se non viene controllata in tempo. Negli affari è difficile avere certezze. L’occasione perfetta, quella con tutti i vantaggi e nessun lato negativo, si presenta raramente. L’essenza dell’essere imprenditore, infatti, ha a che vedere con la volontà di correre dei rischi in più e di sopportare le incertezze a cambio della prospettiva di profitti alti. Chi non è in grado di farlo, farebbe meglio a scegliere un altro tipo di carriera.
A volte, però, si rischia di scommettere sul cavallo sbagliato e ritrovarsi con una perdita significativa che può compromettere il proprio progetto imprenditoriale. Agli inizi della mia carriera, quando dirigevo una piccola agenzia di prodotti digitali, conclusi un grande accordo per la progettazione e l’implementazione di un software dedicato per una catena di ristorazione con centinaia di punti vendita. Per soddisfare la richiesta, ho assunto 15 persone, arrivando quasi a raddoppiare le dimensioni dell’azienda. Era l’inizio del 2008. Poi arrivò la recessione, la catena di ristorazione fallì e a me toccò chiudere bottega.
Tuttavia, quell’esperienza non mi impedì di scommettere ancora, solo pochi mesi dopo, su un’altra nuova idea di imprenditoria: uno strumento ingegnoso sviluppato dalla mia agenzia per gestire più social network alla volta. Non generava profitti, all’inizio, ma i social media erano proprio agli albori e pensavo che avessero un enorme potenziale.
Decisi quindi assegnare al progetto sette membri del team a tempo pieno, pagando i loro stipendi con la mia carta di credito personale. Per farla breve, quello strumento diventò Hootsuite, che oggi ha oltre quindici milioni di utenti, comprese 800 delle società di Fortune 1000. Le imprese imprenditoriali comportano sempre scambi e rischi. L’errore più grande è lasciare che la paura di queste incognite diventi paralizzante.
La storia dello Yukon, comunque, non finisce con un’anguria marcia. Poco dopo, la comunità mise insieme le proprie risorse e decise di avviare una cooperativa, con prodotti agricoli a prezzi inferiori. Il fiasco dell’anguria segnò quindi la fine per il negozio di alimentari del paese, e l’inizio di una nuova attività imprenditoriale. Ecco perché per me rappresenta un valido ammonimento per tutti gli imprenditori.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Observer con il titolo “What an $85 Watermelon Taught Me About Building a Billion-Dollar Business”.
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